Lo Sciamanesimo e la Magia: potere personale e potere magico a confronto
Preparando la conferenza “Sciamanismo e guarigione: il recupero dell’anima, la reintegrazione del trauma e le implicazioni psicologiche”, ci siamo soffermati molto a pensare al concetto di potere personale e come potesse essere definito. Soprattutto lo Sciamanesimo Transculturale di Harner, ci ha abituato a ragionare nei termini per cui le tecniche sciamaniche sono volte proprio a ripristinare e aumentare questo potere personale, definito come una risorsa propria dell’individuo, che può indebolirsi e rafforzarsi, e cambiare nel tempo in accordo con traumi ed esperienze.
Cosa esattamente sia il potere personale, e perché sia un potere, raramente viene chiarito, o raramente ci ferma a rifletterci. Potere non è uguale a legittimazione, ma è la capacità di mettere in atto qualcosa secondo la propria volontà. E questa definizione è sicuramente molto vicina a quella di potere magico, inteso come capacità di comprendere la natura intrinseca delle cose e gestirla attraverso un rituale (cioè un protocollo simbolico) al fine di far sì che determinati effetti si verifichino.
Tuttavia, questi due poteri, quello personale e quello magico, non sono la stessa cosa, e il dibattito fra potere personale innato, potere magico concesso, Magia come sola forma di pantomima psicologica e psicologia come grande male che frena il potenziale umano, è una discussione annosa sempre in auge, che vede frapporsi schieramenti netti che pretendono di non trovare alcun punto di contatto fra le reciproche posizioni.
A nostro parere, invece, la verità sta nel mezzo, e la Magia non è né soltanto un “teatro per la psiche”, né soltanto una facoltà sovrannaturale, bensì qualcosa di liminale, come liminale è la figura che la pratica – che si tratti del mago rinascimentale, della strega di astrazione popolare, o dello sciamano. Applicare il solo modello psicologico all’indagine della Magia è dannoso tanto quanto applicare soltanto il modello metafisico, perché si tratta di qualcosa di olistico e non racchiuso in rigidi binari: non per niente, possiamo vedere la Magia come il risultato dell’interazione di discipline puramente umanistiche, con altre puramente scientifiche, e per questo come una forma di arte che da un lato si forma per studio e ripetizione di tecniche, e dall’altro vive di un’ispirazione personale che riguarda la gnosi e la mistica.
Perciò, da cosa deriva il potere magico, cioè la capacità di sfruttare le virtù delle cose create, per gestire le forze che le impregnano? Deriva in modo sostanziale dalla capacità del mago di stringere alleanze con entità e Spiriti, per creare attorno a sé una corte che lo assista nel compimento di opere meravigliose. Non dimentichiamo che la Magia è innanzitutto una forma di comunicazione della propria Volontà, i cui mediatori e destinatari sono spesso e volentieri gli Spiriti.
Possiamo paragonare questo processo all’acquisizione, da parte degli sciamani Jivaro, degli tsentsak, o dardi magici, da intendersi sia come Spiriti, che come manifestazione del potere di questi Spiriti, che permettono allo sciamano di compiere determinate azioni, quali curare, far trapassare le anime, finanche uccidere. Ognuno di questi tsentsak viene acquisito dallo sciamano superando una prova specifica, e spesso mangiando il veicolo fisico dello Spirito, di fatto incorporandolo.
Lo stesso accade per la corte del mago in quella che possiamo genericamente definire come Tradizione Magica Occidentale: in entrambi i casi siamo davanti a una prova a carattere iniziatico, una dimostrazione di dignità che nel primo caso passa attraverso la dialettica e nel secondo attraverso l’incorporazione. E, in entrambi i casi, ciò che permette al mago o allo sciamano di superare la prova è il potere personale, cioè la capacità di rispondere agli eventi secondo la propria volontà, vale a dire quella di agire come un mago o come uno sciamano, al di là dell’istinto che poterebbe ad altre forme di reazione.
Questa capacità di manifestarsi nella prova così come si vuole e si è, passa non soltanto dalla consapevolezza di chi si è, ma anche da un’integrità psicologica che aiuta a comunicarsi in modo corretto e veritiero, creando comunione e connessione fra la parte più intima di se stessi e quegli Spiriti, all’esterno di sé, che sono molteplici manifestazioni dell’Anima Mundi, o dello Spirito animatore di tutte le cose.
Soprattutto, queste integrità e connessione con se stessi sono una condizione indispensabile per potersi districare fra verità e inganni che caratterizzano qualsiasi prova iniziatica e percorso spirituale. Non solo, permettono anche di distinguere fra gli auto-inganni del subconscio e i presagi che arrivano dall’esterno.
L’integrità psicologica è un punto imprescindibile, sia per il mago che ha bisogno di accedere al proprio potere personale, che per lo sciamano che, nella sua accezione di guaritore, ha necessità di leggere il paziente e aiutarlo a camminare sulla strada della guarigione, che spesso ha inizio proprio nella sfera psicologica.
Come si può condurre qualcuno su una strada che non si ha percorso per primi? La risposta è banale: non si può. E meno si percorre la strada della conoscenza di sé stessi, più si è frammentati, divisi cioè fra una miriade di maschere indossate negli eventi della vita, nessuna delle quali è davvero rappresentativa del chi si è. E più si è frammentati, meno si è in contatto con il proprio conscio e il proprio subconscio, e meno si può accedere a quelle capacità psicologiche, extra-sensoriali e caratteriali che permettono di interagire con le energie sottili e il mondo sovrannaturale in modo proficuo.
Per questa ragione la Magia è stata, per lunghi secoli, elettiva e aperta a chi intendesse non soltanto studiarla dal punto di vista tecnico, ma anche intraprendere un percorso spirituale, che è sempre un processo a metà fra la psicologia e la mistica. In questo, è centrale quindi un percorso di analisi e auto-analisi, che conduca alla reintegrazione, riformulazione e sviluppo di quelle parti di noi che non conosciamo, tendiamo a reprimere o che rileviamo non andare bene rispetto alla forma che vorremmo darci.
Siamo spesso ingabbiati in una forma del sé che dipende non tanto da chi siamo, ma dalle convenzioni acquisite attraverso la società o la famiglia, o attraverso esperienze traumatiche. Con questo, non stiamo velatamente accusando la società, perché siamo consapevoli che essa è per sua natura un compromesso. Vogliamo soltanto esprimere un’osservazione oggettiva: per essere socialmente accettati o accettabili è necessario essere incasellati in ruoli che, nel mondo occidentale, escludono componenti trascendenti e mistiche. Noi tutti veniamo educati a integrarci in una società che ha la tendenza a nascondere, negare, frammentare la nostra individualità per far sì che possiamo aderire a un ideale e a un modello comunitario che non è detto siano condivisi da tutti.
Riuscire a vedere le sovrastrutture che limitano la nostra libertà di espressione è già di per sé faticoso, possibile a fronte di un’auto-analisi che richiede tempo… e spesso l’aiuto di uno specialista. A questo proposito, non crediamo che gli psicologi siano nemici giurati di esoteristi e maghi, e neanche che vivano con il desiderio di rinchiudere chiunque creda al sovrannaturale in un ospedale psichiatrico per sottoporsi a elettroshock. Insomma, il 1800 è finito da un pezzo, e la psicologia ha fatto moltissimi passi avanti. Lo psicologo non è il “medico dei matti”, e non è matto chi usufruisce di suoi servizi. Anzi, ci sentiamo di dire che nel nostro ambiente molti problemi avrebbero bisogno di essere trattati sia dal punto di vista magico, che da quello psicologico. (E un non-psicologo dovrebbe davvero astenersi dall’improvvisarsi tale, ma ammettere il proprio limite d’intervento con onestà. Non soltanto per non provocare traumi alle persone, ma soprattutto perché chi non ha studiato psicologia al punto da poter esercitarla come professione, non conosce né i protocolli di approccio al paziente, né tanto meno quelli per tutelare se stesso!)
La psicologia non esclude a priori l’essere affiancata da pratiche magiche o spirituali. Una divinazione, un viaggio sciamanico, il consiglio degli Spiriti, possono aiutare a comprendere meglio ciò che si sta analizzando insieme allo psicologo e, viceversa, gli Spiriti possono guidare nella scelta delle tematiche da affrontare durante le sedute.
Senza contare che alcune tecniche magiche e psicologiche hanno forte assonanza fra loro, perché tutto sommato l’anima umana funziona in modo uguale dall’inizio dei tempi: parla attraverso un teatro fatto di maschere, identità e simboli, che possono essere letti ora in chiave magica, ora in chiave psicologica.
Ciò che è importante non è escludere l’una o l’altra disciplina, ma comprendere il limite dell’una e dell’altra, comprendendo che la Magia e la Mistica hanno forse come primo strato quello psicologico, ma si radicano nel trascendente; così come la psicologia ha come aspetto apparente quello di psicodramma simile al rituale magico, ma si occupa dell’indagine sulla psiche della persona al di là di specifiche credenze metafisiche.
L’obiettivo dell’opera magica, così come del percorso spirituale, è un lavoro costante di se stessi, per rimodellarsi ad un equilibrio psicologico che permetta di accedere pienamente ed esprimere il proprio potere magico, e di conseguenza essere veicolo di quel potere magico trasmesso dal trascendente all’umano.
E sì, ancora una volta tutto è legato.
Anche per questo ripetiamo di continuo che persone in preda ai propri bassi istinti, prive di equilibrio personale, bisognose di continue riconferme per validare se stessi, non possono aiutare gli altri, perché inconsciamente cercheranno di usare il “paziente” nel tentativo di sostenersi e trovare il proprio equilibrio attraverso un baricentro esterno al proprio mondo interiore. Non può funzionare: l’unico modo di trovare equilibrio è lavorare su se stessi. Dopo si può aiutare gli altri a trovare il loro equilibrio.
Lo sciamano, il mago, il medium, la strega, l’operatore olistico, e tutti i vari titoli che uno si vuole dare, non possono essere mere etichette per darsi un vanto, né l’idea di voler aiutare altri può essere una comoda scusa sotto la quale nascondere il bisogno di aiutare se stessi. Si può fare, ma percorrendo per primi, con coraggio e integrità, quel cammino interiore che aiuta a ripristinare un’identità non frammentata. Si tratta di un cammino fatto di prove psicologiche e iniziatiche, attraverso il quale si arriva a prendere piena coscienza di se stessi. Se questa condizione non si è mai sperimentata in prima persona, come si può condurre qualcun altro ad essa?