Magia Cerimoniale

Ambergris: non averla… e averla lo stesso


I materiali preziosi sono da sempre un cruccio per i praticanti dell’Arte: dal momento che la distribuzione delle risorse economiche e dell’accesso a materiali rari non è mai stata equa, alcuni di tali materiali sono stati storicamente preclusi ai più.

È il caso di profumi come l’ambergris, il muschio o lo zibetto, che nel Rinascimento fiorentino era proibito indossare a quasi tutti (fatta eccezione per classi particolari ed esclusive, come le nobildonne sposate) [1].

A questo si aggiungono i costi proibitivi: nel XVI secolo l’ambergris costava 6 kronen austriaci per mezza oncia, cioè circa 4500€ per 14g! [2]

Per chi non la conosce, l’ambergris – o ambra grigia – è una sostanza cerosa, rara e profumata, prodotta nell’intestino dei capodogli. Si estrae o uccidendo l’animale, oppure perché viene espulsa in mare, dove invecchia per anni prima di essere gettata a riva e lì rinvenuta. Storicamente è uno dei profumi più ricercati e preziosi.

In molti grimori (soprattutto quelli dove compaiono molti esperimenti alchemici o elementi folk) è frequente trovare ricette per contraffare metalli e materiali preziosi. Gli scopi sono vari: la contraffazione per lucrare sulle spalle degli ignoranti è sicuramente in testa, ma d’altra parte vi sono anche ragioni pratiche che vertono sul replicare le medesime virtù curative ascritte a questi preiosi materiali o riprodurne l’odore – elemento fondamentale per l’Arte quando si parla di profumi e incensi. Infatti, dal punto di vista magico, non conta soltanto da quale materiale arriva il profumo (questo considera le virtù di tale sostanza), ma anche le qualità del profumo in sé per sé (a prescindere da ciò da cui viene prodotto: se il medesimo odore deriva da altra sostanza, è comunque “se stesso”, perciò con le stesse virtù).

In molti incensi e profumi tradizionali vengono inseriti nelle ricette materiali preziosi come lo zibetto, il muschio o l’ambergris – tutt’oggi molto costosi. (L’ambergris, oggigiorno, può arrivare a costare 30.000€/kg!)

In commercio si trovano un sacco di prodotti profumati all’ambergris – di solito con profumi sintetici per poter abbattere i costi. Ci è anche capitato di vedere consigliato da “praticanti” ad altri praticanti l’uso di saponette all’ambergris grattugiate per essere miscelate al resto delle componenti per miscelare specifici incensi. Dal nostro punto di vista si tratta di pure assurdità: non è meglio adottare approcci alternativi?

Questo è lo spirito con cui abbiamo replicato quella che è una delle ricette tradizionali della “falsa ambergris”, con un paio di variazioni sul tema (il muschio animale e lo sperma di balena hanno a loro volta hanno problemi simili all’ambergris), recuperando la ricetta de Le Petit Albert. L’ambergris ci servirà più avanti per qualcosa di cui intendiamo parlare… ma anche perché fa parte di quelle tante cose che, sebbene non entrino mai ufficialmente in negozio, sono parte integrante della nostra pratica e del nostro diletto, essendo incensi e profumi antichi uno dei nostri maggiori interessi.

1 oncia = 30g / ½ oncia = 15g / 1 dram = 1.8g

Ridurrai a polvere fine le seguenti sostanze passandole in un setaccio fine; vale a dire 1 oncia di amido, 1 oncia di iris [radice], ½ oncia di aspalato, 1 oncia di benzoino, 1 oncia e mezza di sperma di balena 1 buona dram di muschio dall’Est, il quale sarà dissolto in acqua di cannella nella quale avrai disciolto un po’ di tragacanto, e con tutto questo formerai una pasta che metterai in digestione sotto il letame di cavallo […], e quando osserverai che è sufficientemente secca, la terrai in una scatola con un po’ di cotone per mantenerla fresca. Può essere esposta all’aria e si conserverà così fino a 10 anni.

Questo è quanto ci riporta Le Petit Albert, ma leggere una ricetta è appena l’inizio per poterla mettere in pratica: a parte per lo sperma di balena e il muschio dell’Est – materiali tutt’oggi molto costosi – il vero problema è l’asphalatus, sostanza mai identificata con certezza. Si tratta, forse, di una radice con un profumo legnoso simile alla rosa o al sandalo. L’Ecclesiaste (24:15) ce ne parla come un profumo dolce, che viene per alcuni rintracciato nella secrezione del Convolvolus scoparius, mentre il Siracide (24:16) lo paragona alla cannella (anche se molte tradzioni riportano balsamo anziché aspalato). Coinvolto anche in alcune ricette greche per la preparazione del kyphi, viene descritto in questo contesto come un “cespuglio spinoso” che più si sposa con l’associazione all’Aspalathus linearis o altre piante della famiglia delle Fabaceae – che tuttavia non sono famose per essere profumate né per l’avere secrezioni che lo siano.

Resta quindi il dubbio e la possibilità che le fonti, soprattutto quelle Rinascimentali e dell’Età Moderna, usino il termine aspalato per riferirsi più in generale a una sostanza profumata non chiara nemmeno all’autore, dando quindi spazio di manovra per la sua sostituzione (noi, per esempio, abbiamo optato per il labdano e il sandalo).

Il tragacanto, o gomma adragante, è invece una sostanza poco nota, ma comune, che per la sua solubilità in acqua viene usata in cucina e in ambito farmaceutico come addensante. Ha usi simili alla gomma arabica, da cui può senza ombra di dubbio essere sostituita, visto le caratteristiche comuni.

La digestione sotto letame di cavallo è un metodo che nel Rinascimento era parte integrante della pratica alchemica e farmaceutica, per favorire la fermentazione, la cottura lenta o la trasformazione delle sostanze sfruttando il caldo costante e umido generato dalla decomposizione del letame.

Ad oggi questo metodo può tranquillamente essere sostituito con altri, per esempio inserendo la pasta ottenuta in contenitori di vetro esposti al sole (lontano dai raggi diretti) per un tempo sufficiente oppure, come abbiamo deciso di fare noi, in un contenitore vicino a una finestra esposta a sud, coperto da un panno per farlo traspirare, finché la superficie della pasta non è risultata secca.

Ovviamente quello che ci si trova in mano alla fine, comunque si voglia ritoccare la ricetta, non è autentica ambergris e, anche per quanto riguarda il profumo, le differenze sono sensibili. La differenza però rispetto all’acquisto di un prodotto basato su una molecola sintetica o di altri prodotti per la cura del corpo reindirizzati ad usi impropri (tipo le citate saponette grattugiate e bruciate come incenso) è che si sta compiendo un gesto consapevole e intenzionale, invece di bruciare sapone chiamandolo “incenso di ambergris”.

Non si tratta di una riprodurre odori in maniera sterile, ma di sviluppare abilità artigianale rendendo i propri gesti rituali, valorizzando la materia, il processo e il significato simbolico del profumo, senza limitarsi a “riadattare alla meglio”, ma concentrandosi sull’adottare quelle stesse soluzioni trovate nell’antichità per fare fronte a problemi di reperibilità e costi tutt’oggi attuali. In questo vi è una continuità ideologica e tecnologica che unisce passato e presente non solo nel risultato, ma nel metodo.

Le Petit Albert

[1] p. 121 di Cooley, M., & Biedermann, K. (2023). Ambergris: From sea to scent in Renaissance Italy. In M. Cooley (Ed.), Natural things in early modern worlds (pp. 112–129). Routledge.

[2] Dannenfeldt, K. H. (1982). Ambergris: The Search for Its Origin. Isis, 73(3), 382–397.

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