Variabili nei riti d’amore e classificazione metodologica
“Voglio un rito d’amore!” – non vuol dire niente.
In realtà vale un po’ per tutti i rituali: se non si specifica lo scopo, ci si sta riferendo soltanto a una categoria. Insomma, “voglio un rito d’amore” non vuol dire molto di più di “ehi, mi consigli un rituale di magia nera?”. Se bocciamo o critichiamo questo tipo di richiesta (perché la magia non ha colore, ok, ma anche) perché è troppo vaga, vale di sicuro lo stesso quando si parla di “rituale d’amore”.
O si usa la categoria come contenitore generico, oppure la richiesta funziona poco. La Magia ha bisogno di precisione da orologiaio: tutto il rituale ruota intorno allo scopo, all’intento specifico, alla situazione reale, senza che niente venga lasciato a interpretazioni arbitrarie e aleatorie.
Biomimesi, la scienza dello Sciamano
Iniziamo con una citazione:
La biomimesi è la scienza e l’arte di risolvere i complessi problemi dell’uomo, traendo ispirazione e insegnamento dalla Natura: dagli aborigeni che realizzarono i primi boomerang – meravigliose copie delle ali degli uccelli – al modo in cui modelliamo la ceramica come una vespa vasaia costruisce il suo nido.
da Nessuna linea retta, di J. Harman
Il carattere dei riti d’amore
La tematica degli incantesimi d’amore e della magia d’amore è piuttosto controversa per l’esoterismo contemporaneo, che si fonda su un tipo di morale e pensiero etico non necessariamente più “evoluto” o più “morale”, ma sicuramente diverso, rispetto a quello nel quale determinate procedure, incantesimi e ritualità si sono originate. Una distanza che non è soltanto morale o etica, ma anche culturale, come nei casi in cui si riconoscevano agli uomini e alle donne diverse sfumature di un sentimento, l’amore, in alcune lingue descritto da una molteplicità di termini – alcuni riferiti all’intensità dello stesso, altri a tipologie di amore provate dagli uomini, dalle donne, e da uno dei generi verso un altro.
Il Culto degli Antenati: una religiosità più antica dell’Animismo?
Fuori dall’ambiente accademico di chi, studiando antropologia, deve per forza conoscere le varie teorie sull’origine del Sacro e della religiosità umana, permane una concezione scolastica che porta innanzitutto a vedere alcune espressioni religiose più primitive e altre più evolute e, grazie al condizionamento di una mentalità ottocentesca dura da sradicare, ad attribuire a queste espressioni un valore in termini morali ed evolutivi.
Ci viene insegnato, come fosse una filastrocca, che l’Animismo è venuto prima di tutti gli altri modi di intendere la religione. Che l’Animismo è espressione religiosa propria della cultura del buon selvaggio: l’essere umano arcaico, pacifico e in comunione con la natura, più simile ad un animale che all’uomo moderno civilizzato, che sarebbe stato dotato di una naturale curiosità verso gli eventi inspiegabili e avrebbe, con la sua ingenuità, creato la religione come forma di consolazione e riconosciuto la scintilla vitale intrinseca in tutte le cose esistenti come uno spirito sovrannaturale.