Scritto nel sangue: la Rivoluzione di Haïti
Che cos’è la rivoluzione di Haïti?
Con l’espressione “Rivoluzione haitiana”, che è relativamente recente, si vogliono indicare i drammatici eventi che ebbero luogo sull’isola di Saint-Domingue (odierna Haïti) tra il 1791 e il 1804. Gli storici che si servono di questa formula sostengono che tali eventi devono essere messi sullo stesso piano delle Rivoluzioni Francese e Americana, nello studio della genesi dei moderni ideali di libertà e uguaglianza.
La Rivoluzione Haitiana implica altresì l’idea che alla base delle vicende di quegli anni ci fu una certa unità, e che l’esito finale debba essere inteso come il frutto della realizzazione di un programma portato avanti volontariamente, fin dall’inizio. Invece, come vedremo, non sempre questi presupposti si rivelano fondati. Per esempio l’insurrezione di schiavi scoppiata nel 1791 riguardò solo una delle tre province della colonia e si sviluppò parallelamente a un altro movimento rivoluzionario, la rivolta dei liberi di colore di Sant-Domingue, che perseguivano degli obiettivi profondamente differenti.
Questi due movimenti rivoluzionari si ritrovarono spesso in contrapposizione, un conflitto che perdurò anche dopo la Dichiarazione d’Idipendenza Haitiana del 1804. All’inizio lottarono tutti e due contro il governo coloniale francese. La rivolta haitiana contro la schiavitù fu perlopiù portata avanti da una popolazione di illetterati e non produsse mai un manifesto in cui fossero chiaramente definiti gli obiettivi, ragion per cui ci ritroviamo ad avere ricostruzioni basate quasi interamente su fonti esterne, in buona parte ostili alla rivoluzione.
È fuorviante descrivere la Rivoluzione Haitiana alla stregua di un movimento unitario dotato di obiettivi coerenti e chiaramente definiti. È altrettanto difficile intravedere nel principale leader, Toussaint Loverture, un capo rivoluzionario nello stile di Robespierre o Fidel Castro. E oggi non siamo neanche sicuri che egli abbia rivestito un qualche ruolo nell’avvio dell’insurrezione degli schiavi nel 1791! All’inizio, quando Toussaint si unì al movimento, non sostenne la completa abolizione della schiavitù, addirittura si oppose al primo decreto di emancipazione francese del 1793. Nel 1794 lasciò il fronte di lotta contro i francesi e si schierò dalla parte di questi ultimi, ribadendo con fermezza la sua fedeltà al governo della madrepatria anche quando il suo operato sembrava remare contro i francesi. Le leggi che Toussaint impose in questi anni alla popolazione di Saint-Domingue avevano un taglio piuttosto conservatore, e spinsero molti neri a rivoltarsi contro di lui.
Ma ora, cerchiamo di analizzare cosa successe quella famosa notte del 1791, che viene presa come data di inizio ufficiale della Rivoluzione Haitiana.
Quella notte a Bois Caiman
A Saint-Domingue le prime ostilità nacquero dopo l’assemblea coloniale del 1790 a St. Marc dove bianchi (blan) e mulatti (mulâtres) dibatterono sul futuro della società. La comunità nera veniva definita dai bianchi borghesi, petit blancs, non degna di diritti, ma soltanto forza lavoro, schiavi.
Nel marzo 1791, dopo l’ennesima assemblea, due giovani uomini di colore morirono in modo tragico e apparentemente misterioso.
Mentre 70.000 bianchi e mulatti dibattevano, circa 700.000 schiavi seguivano la scena con apparente impassibilità. Non avevano nulla da perdere se non la stessa miseria. Le testimonianze raccontano che, dopo il tramonto, in “giorni particolari per i devoti ai Lwa” (cit. R. Heinl), si poteva sentire il suono dei tamburi provenire dai quartieri che ospitavano gli schiavi. Essi battevano in modo insolito ed erano l’accompagnamento ad una danza chiamata kabinda e a canti nella lingua della costa occidentale africana
Veniamo dal Ginen,
non abbiamo madre e
non abbiamo padre,
Marassa Eyo!
Papa Bambala,
mostraci di nuovo il Dahomey…
[R. Heinl]
C’era un uomo, Boukman, schiavo conosciuto in tutte le piantagioni, commandeur che aveva potere e autorità nella comunità nera. Egli riunì alcuni uomini e l’11 Agosto le case coloniali di Chabaud e La Gossette vennero date alle fiamme. Gli schiavi sopravvissuti vennero impiccati dai loro padroni, come esempio. Ma la rabbia non si fermò.
Nella notte del 14 Agosto alle ore dieci di sera, Boukman, in quanto hougan, organizzò un ritrovo nel bosco di Bois Caiman e, spalleggiato da una mambo diede inizio aa un rituale tagliando la gola a un maiale, e offrendo il suo sangue come libagione a tutti i partecipanti. Recitarono poi un’invocazione riportata nel libro Written in blood: the story of the haitian people 1492-1995 scritto da Robert D. Heinl:
Buon Dio che ha creato il sole che splende su di noi, che sorge dal mare.
Che fa ruggire la tempesta e governa i tuoni.
È nascosto nei cieli e ci veglia dall’alto, vede ciò che ci hanno fatto i bianchi.
Il loro dio comanda i crimini, il nostro ci benedice.
Dio ha ordinato vendetta, darà forza alle nostre braccia e coraggio ai nostri cuori, ci sosterrà.
Cancellate l’immagine di un dio che ci incolpa, perché ha fatto piangere i nostri occhi.
Date ascolto alla libertà che i nostri cuori gridano ora.
Gli schiavi, riuniti, col sangue rosso sulle labbra e in ginocchio, giurarono morte ai blan.
Dopo poco, scoppiò un violento temporale che spense il falò, dando fine alla riunione.
Prima di confondersi nel buio, Boukman disse ai suoi seguaci che un segno sarebbe arrivato dopo il tramonto del 22 Agosto, e così fu.
Quella notte i tamburi batterono più forte e il cielo si fece rosso sulle piantagioni di Noé, Climent, Flaville, Gallifet, Le Normand. Gli schiavi, armati di falci e altri attrezzi agricoli, circondarono i casolari e uccisero i proprietari terrieri, bevvero il rum, depredarono le piantagioni.
Quando arrivò l’alba, le strade erano lastricate di corpi e gremite di sopravvissuti che cercavano riparo in una città dove vi erano 3000 bianchi e circa 15.000 neri.
Molti ufficiali furono smembrati, inchiodati vivi ai cancelli delle proprietà. E le mogli, le figlie, camminavano in mezzo a questi massacri, e venivano rapite dai gruppi più violenti. Nel mezzo dell’orrore, alcuni schiavi scelsero di avvisare, e quindi salvare, i propri padroni come segno di riconoscenza per la gentilezza ricevuta in modo tutt’altro che scontato.
Dopo le prime rivolte, numerosi marinai tornarono a terra per infoltire le fila dell’esercito francese ma il punto più alto, Il Cap, fu comunque conquistato. Gli schiavi riuscirono a portare via dei cannoni che però non sapevano utilizzare e che decisero quindi di caricare con moschetti ed armi varie, sostenendo che in ogni caso la divinità della guerra, Ogoun, li avrebbe protetti.
Nel quartier generale del leader dei rivoltosi, Biassou, furono trovate ossa umane, gatti, serpenti e altri feticci. Donne nude danzavano attorno a enormi falò intonando canti conosciuti solo nel Dahomey. Al culmine del climax, Biassou comparve assieme ai suoi bokono (bòkò) proclamando il risveglio in patria africana di ogni schiavo caduto in battaglia come un guerriero.
Si stimano più di 10.000 schiavi morti nelle lotte della Rivoluzione di Haïti. Dopo Bois Caiman 180 piantagioni di zucchero, 900 tra caffè, cotone e indigo furono distrutte. Boukman fu alla fine catturato, arso vivo e la sua testa impalata e schernita dai tanto odiati bianchi.
Nel 1792 i ribelli controllavano i tre quarti dell’isola.
La rivoluzione ebbe fine nel 1804 con l’indipendenza della colonia.
Fu un momento cardine per la storia: Haïti fu la prima colonia a diventare indipendente e a venir gestita da ex prigionieri.
Fu la più grande insurrezione di schiavi dall’epoca di Spartaco, 1900 anni prima.
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È importante ricordare che il Vodoun africano, la Candomblé, la Santeria, e ogni altro culto sincretico para-africano, hanno tutti una propria identità e storia. Non possiamo parlare di Vodoun includendo in questa parola ogni singolo culto derivato. Di fatto, pur nascendo dalla medesima matrice culturale, le stesse divinità venerate assumono aspetti diversi, subendo sincretismi e rielaborazioni. Più di ogni altra cosa, siamo davanti a culti vivi e in movimento, che definire “morti” o “primordiali” è incorretto al limite della mancanza di rispetto.
Quando parliamo di Vodou e di culti sincretici para-africani, ma anche di religioni africani tradizionali, parliamo di questo. Parliamo di persone strappate dalle loro terre, che hanno sacrificato le proprie vite per ridare al proprio popolo qualcosa che noi diamo per scontato: la libertà. E la possibilità di vivere e celebrare le proprie radici.
Schernendo il concetto di appropriazione culturale, o pretendendo di minimizzare la gravità dell’appropriazione culturale, è vicende come questa che si stanno minimizzando, invece di tenerle a mente per ricordare e non commettere di nuovo gli stessi errori. L’appropriazione culturale è solo una diversa forma di mancanza di rispetto. Solo una diversa forma dell’esercitare la mentalità colonialista su un altro popolo. Solo un’altra forma del definire una gerarchia di importanza di popoli e culture, e questo si chiama schiavitù.
Quando si pretende di essere parte di una cultura, dicendosi iniziati ma disinformando, non è agli altri interessati che si manca di rispetto, ma agli Antenati e a coloro che si sono battuti per poter riavere indietro la possibilità di essere ed esprimersi in funzione al proprio credo, cultura, etnia.
Davanti alla narrazione di fatti come la riunione al Bois Caiman e della Rivoluzione di Haïti quello che c’è da chiedersi, e su cui c’è attentamente da riflettere, è quale carico di umiliazione, rabbia e desiderio di rivalsa si può instillare nelle persone opprimendole. E questo dovrebbe innanzitutto portare a riflettere su quale comportamento è auspicabile verso altre culture, e quale invece dovrebbe essere evitato, non solo perché offensivo, ma soprattutto perché doloroso per chi lo subisce.
Maya Pasquali
Mi chiamo Maya Pasquali, antropologa africanista. Ho un amore folle per la storia delle religioni e l'arte rituale. Sono fondatrice (e fan numero uno!) dell'Ordine per la Salvaguardia degli Antropologi, fondato da Nexus. Qui mi occupo del programma "Adotta anche tu un antropologo". E, come tutti, sono alla ricerca del mio percorso. Nel frattempo, tento di suggerire ad altri un modo per approcciarsi alle Religioni Tradizionali Africane e ai Culti sincretici para-africani al di là delle mistificazioni. Nel tempo libero, sfogo lo stress coltivando piante tropicali. Mi trovate su Instagram come @boneschronicles