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Stregoneria,  Antropologia & Storia delle religioni

La bottiglia della strega: fonti e significati

La bottiglia della strega è un artefatto magico piuttosto noto nella magia moderna, proposto e riproposto in molte varianti in libri che parlano di diverse tradizioni magiche. Raramente gli autori si soffermano però ad analizzare il meccanismo per cui questo tipo di oggetti risulta efficace, e ancora meno gettano uno sguardo su quella che è la realtà storica che riguarda questa prassi. Il risultato è che, da un lato, la pratica viene volgarizzata e snaturata, e dall’altro ritenuta a tratti ridicola perché destoricizzata, e non calata in alcuna realtà tradizionale, folkloristica e geografica. In verità, a tutti i detrattori della bottiglia della strega, è importante ricordare fin da subito che questa pratica affonda le radici nella stregoneria europea, con modelli simili a quelli rintracciati in altre parti del mondo, al punto da essere ampiamente nota e diffusa anche fuori dall’Inghilterra, ritenuta la culla di questa tecnica. Ciò non vuol dire però che quanti criticano le molte modernizzazioni, spesso lontane dai modi e dagli scopi tradizionali, non abbiamo in parte ragione quando affermano che alcune delle tecniche riportate in certi libri (non soltanto di autori wiccan) sono assolutamente non tradizionali, lontane per scopi e modi, e spesso corruzioni inadatte alla creazione dell’artefatto in questione.

La bottiglia della strega, che oggi viene proposta (irragionevolmente) per ogni scopo, nasce, soprattutto per quanto riguarda la stregoneria britannica, come rimedio magico di tipo apotropaico. Di fatti sulla base del contenuto ritrovato in numerosi esemplari rivenuti in tutta l’area britannica, e lo studio comparato dell’utilizzo di ogni elemento in altre aree e tradizioni, risulta chiaro che le bottiglie della strega venissero create per cinque scopi principali: proteggere il possessore o l’abitazione, deflettere o prevenire aggressioni magiche, intrappolare spiriti malevoli, maledire e, in rari casi, guarire. Questo vuol dire che quando un libro propone una bottiglia della strega per attrarre l’amore, c’è una mancanza di conoscenza di fondo da parte dell’autore, che non ha compreso il background etno-storico e folkloristico alla base dell’oggetto (senza poi far menzione di quanto sia assurdo e inefficace mettere chiodi e spine in un artefatto, un contenitore, destinato all’amore). Esistono altri metodi, anche aventi come fulcro dei contenitori (pentole, vasi, scatole), per suscitare amore, attrarre denaro, propiziare uno scopo, ma la bottiglia della strega non è di certo adatta.

In effetti questo artefatto condivide con altri alcuni tratti, fra cui sicuramente il più importante e interessante è l’uso di un contenitore, di una bottiglia. I contenitori rivestono una grande importanza in magia, abbiamo traccia del loro uso fin da epoca antichissima, fin dal Paleolitico (quando anche i crani umani erano usati come contenitori rituali, sebbene possiamo soltanto ipotizzare gli scopi). Qualunque cosa contenga e isoli il contenuto dall’ambiente esterno assolve un ruolo capitale in magia, perché diventa il mezzo nel quale ricreare delle condizioni simboliche, o addirittura un “cosmo in miniatura”, costruito in ogni dettaglio secondo le necessità del praticante. Questa idea, per quanto limitata agli scopi sopra menzionati, si applica anche alla bottiglia della strega.

È per altro probabile che, sebbene la maggior parte dei reperti datati (ricordando che per molti non è stato possibile effettuare analisi certe) sia fatta risalire all’Inghilterra sud-orientale del XVI-XVII secolo, la pratica sia continuata senza interruzione fin dal Medioevo con un cambio di tipologia di contenitore, o che sia entrata in auge nel periodo a cavallo di questi secoli e poi declinata. In effetti i reperti dimostrano che non erano usate soltanto bottiglie di vetro e ceramica, ma anche vasi di terracotta che rappresentano forse la versione più antica.

Troviamo una prima interessante menzione della bottiglia della strega nel Sadducismus Triumphatus (1681) di Joseph Glanville, nel quale l’autore riporta un aneddoto di William Brearley, che racconta una storia riguardo al suo signore, alla cui moglie era stato consigliato di porre nel fuoco la bottiglia della strega di cui era in possesso per spezzare l’incantesimo a cui era stata sottoposta. Tuttavia il fallimento dell’azione, che culmina con la bottiglia che non si rompe, la induce a seppellirla, il più lontano possibile, per allontanare da sé il male. Brearley infatti racconta che la donna era stata attaccata da uno spirito maligno camuffato da uccello (il famiglio di una strega) e che la bottiglia l’aveva difesa intrappolandolo.

Ritornano in questa storia tutti gli elementi fondamentali per identificare questo oggetto: la funzione apotropaica (cioè il potere attribuito di tenere lontano il male), la possibilità di proteggere il possessore e di intrappolare lo spirito maligno, e anche, seppur celata, la guarigione, poiché essere affetti da un incantesimo era come essere avvelenati, e la cura doveva essere necessariamente un rimedio di natura sovrannaturale.

Riguardo ai tipi di contenitore utilizzati per la bottiglia della strega, quelli più caratteristici sono sicuramente vasi di ceramica e terracotta (la forma più antica), bottiglie di vetro di varia fattura e forma, e un tipo di recipiente molto specifico chiamato bellarmine o bartmann jug. Queste ultime si diffusero in Germania nel XVI-XVII secolo, soprattutto a Colonia, dove vennero inizialmente prodotte (prima che un editto lo impedisse per il carattere troppo satirico, determinando il trasferimento dei produttori appena un paese più in là). È possibile che questo tipo di recipiente sia originario di fine Medioevo, e apprezzato al punto da essere prodotto per secoli e addirittura esportato in varie parti d’Europa fra cui l’Inghilterra.

Le bellarmine sono bottiglie-boccale, di forma panciuta, in ceramica invetrata e non dipinta, con una imboccatura più stretta da cui bere, che venivano riempite di vino e birra, e usate per servire al tavolo. La poro particolarità è nel motivo decorativo, poiché presentano un iconografia molto caratteristica, anche se non rigidamente codificata. Sul collo era ritratta, a rilievo, una faccia barbuta, spesso di satiro beffardo, e sul resto del corpo motivi arborei (tralci di vite, fiori, foglie e ghiande di quercia) e, talvolta, un medaglione centrale sul petto della figura, con rappresentato lo stemma dell’artigiano, a riprendere le araldiche nobiliari. A volte veniva anche aggiunto un motto, spesso di natura religiosa, come ad esempio “mangia e bevi, ma di Dio non ti dimenticare” – un chiaro invito a godere dei piaceri della buona tavola, senza dimenticarsi di esserne grati a Dio. Fra l’altro questo tipo di recipiente e decoro venne chiamato bellarmine in “onore” al cardinale Roberto Bellarmino, prendendone in giro lo zelo e la severità. Egli, fiero oppositore del protestantesimo, fu causa delle peripezie di Galileo Galilei e fra i responsabili della morte di Giordano Bruno e, in tutta risposta, si trovò nominato come le bottiglie tanto amate per più di due secoli in territorio protestante, sinonimo in genere di smisurata allegria e ilarità.

Soprattutto, le bellarmine divennero famose per il loro uso come recipiente per le bottiglie delle streghe, e il loro ritrovamento in questo contesto è così diffuso da averle rese la perfetta forma archetipale dell’artefatto. È possibile che la ragione della scelta sia legata proprio alla presenza di una figura antropomorfa, di un volto di satiro soprattutto, sul collo, che le personifica e rende adatte a diventare guardiane contro il male, o contenitori per spiriti che possono riconoscersi nelle fattezze.

Per quanto riguarda il contenuto caratteristico delle bottiglie delle streghe c’è ben poco da inventare, perché gli archeologi hanno provveduto ad analizzare il contenuto di diversi esemplari. Per questa ragione ha poco senso cercare strani ingredienti. Più logico è invece guardare alla tradizionalità e scegliere gli elementi utili ai propri scopi, secondo il valore simbolico e magico di ciò che è contenuto nelle bottiglie più antiche. Di seguito riporteremo alcuni oggetti e la loro interpretazione, senza la volontà di essere esaustivi, ma per presentare i contenuti più significativi e iconici, sulla base delle analisi di tre esemplari rivenuti a Ipswich, Hellincton e Plymouth.

Un ingrediente molto comune sono spilli, aghi e chiodi, in genere in ferro. Esattamente come altri oggetti appuntiti ritrovati nelle bottiglie delle streghe (spine di biancospino, legni appuntiti, schegge di vetro), sono da interpretarsi come armi. Tutto ciò che taglia, punge, penetra viene utilizzato per arrecare danno, uccidere, ferire, ma anche stimolare o più raramente guarire. Non di meno, ha rilevanza anche il materiale, il ferro che nella stregoneria europea, e in particolare anglosassone, ha la fama di poter tenere alla larga le streghe, il male e il Piccolo Popolo – al quale venivano imputati molti “scherzi” e “tiri mancini” a spese di brave donne e uomini.

Un discorso simile a quello del ferro può essere applicato allo zolfo, anche se ha soprattutto valore di maledizione e aggressione – essendo tradizionalmente associato alla presenza del Diavolo, che si riteneva manifestarsi proprio con maleodoranti esalazioni di zolfo.

Come variante di chiodi e spine, si trovano talvolta forche a due rebbi, di legno o ferro, che vengono ricondotte all’utilizzo di oggetti simili, di più grande dimensione, nella stregoneria anglosassone. Essi erano un simbolo di comando, un attributo del Padre delle Streghe, comunque fosse personificato (nel Diavolo, in Caino, o sotto altre spoglie ancora). Come simbolo di comando e di potere veniva forse inserito nelle bottiglie per comandare gli spiriti, scacciandoli o intrappolandoli.

In almeno una coppia di esemplari, sono stati rinvenuti anche lacci annodati, in sequenze di tre nodi. Questo elemento prende a volte il nome di “laccio della strega” e viene utilizzato per caricare o fissare l’intento, in genere in associazione alla ripetizione di un incantesimo o di una petizione in corrispondenza dell’annodamento di ogni punto. Il laccio, soprattutto annodato, è un elemento che fissa e unisce, ma anche che imprigiona e contiene.

È importantissimo fare menzione anche di frammenti religiosi, spesso pagine strappate dalla Bibbia, usati per il loro valore sacro, che determinava anche un egual valore magico. Nella bottiglia di Hellinghton sono stati rinvenuti ben ventiquattro segmenti tratti da un testo religioso in francese, su uno dei quali (uno dei pochi) era stato aggiunto un incantesimo, prima di avvolgerlo su una ciocca di capelli e fermarlo con uno spillo. Se ne può dedurre che passi specifici di testi religiosi possono avere una duplice valenza. Nel loro significato di per sé, o per compiere azioni specifiche in base al loro significato e in associazione ad un testimone.

Riguardo ai testimoni, cioè a quegli oggetti, frammenti di abito o altro entrati a contatto con la persona, o elementi organici sottratti all’individuo (capelli, unghie, sangue, sperma, urina, saliva), in magia servono a collegare l’incantesimo al soggetto su cui deve agire. Nelle bottiglie della strega ne erano inclusi di vario genere, a seconda dell’uso. La persona aggiungeva i suoi capelli, o riempiva la bottiglia con la propria urina, nel caso in cui l’oggetto dovesse proteggerla o proteggere le sue proprietà e i suoi averi, oppure guarirla o intrappolare il male o la malattia che l’affliggeva. Venivano invece aggiunti testimoni appartenenti ad un altra persona se la bottiglia serviva a intrappolarla, danneggiarla, bandirla o fare lo stesso su suoi famigli, le sue opere e i suoi incantesimi. Naturalmente è possibile aggiungere testimoni di qualcun altro anche se si vuole proteggerlo o guarirlo.

Un tipo particolare di testimone talvolta trovati nelle bottiglie sono le effigi e i cuori. Essi sono l’equivalente delle moderne fotografie, con esse possono essere sostituiti e esse possono sostituirli. Sono in effetti ingredienti abbastanza rari, da un lato per la difficoltà ad inserirli nelle bottiglie e dall’altro per la deperibilità del materiale in cui erano fatti, deteriorato dal tempo. Riguardo alle effigi esse erano prodotte in legno o in cera, seguendo i costumi magici diffusi in tutta Europa, ed erano incluse soprattutto con lo scopo di imprigionare o neutralizzare qualcuno, o di maledirlo o ferirlo. Sono state infatti ritrovate piccole effigi trafitte o sommerse da chiodi, o legate. I cuori invece erano per lo più creati in stoffa e trafitti da chiodi. Il loro significato è di sicuro parallelo a quello delle effigi, ma è possibile che ad essi fosse anche attribuita la funzione di infliggere pene d’amore.

Le analisi degli archeologi hanno rivelato anche altri contenuti, come frammenti di corallo, ossa di uccello e altro, a seconda dello scopo, dei materiali reperibili e delle usanze del creatore dell’oggetto. Ciò che bisogna in realtà tenere a mente è che gli elementi che formano il contenuto non sono slegati gli uni dagli altri, ma vanno interpretati come parti funzionali che creano un unico, armonico e singolo incantesimo. È importantissimo tenere a mente questo aspetto perché, come spiegato, ciò che si trova all’interno di una bottiglia o di qualsiasi altro contenitore va analizzato come una sorta di cosmo in miniatura in grado di riprodurre gli effetti desiderati.

Infine, l’ultima cosa di cui tenere conto è dove la bottiglie veniva posizionata. Anche in questo caso la tradizione viene confermata dagli studi archeologici, e non c’è ragione di distorcere alcunché. Innanzitutto, una volta attivata, la bottiglia non deve essere tenuta in bella vista o mostrata, una prassi universalmente valida per qualsiasi oggetto consacrato alla pratica magica. Di fatti le bottiglie delle streghe sono state rinvenute in punti nascosti: murate nelle pareti, sepolte sotto al pavimento, seppellite in luoghi impervi. Venivano messe nei muri per offrire protezione strutturale all’ambiente domestico; o sotto alla soglia d’ingresso perché il male non penetrasse nell’abitazione. Erano anche interrate sotto al pavimento per ragioni simili, e anche perché questo era considerato vulnerabile all’aggressione delle creature del sottosuolo (in genere appartenenti al Piccolo Popolo). Quest’ultima pratica è forse il residuo di ritualità più antiche, che prevedevano il sacrificio di pentole contenenti offerte di vario genere, che venivano seppellite come primo elemento nella costruzione della casa, come vero e proprio sacrificio per le fondamenta, letteralmente pagando il suolo che si stava sottraendo agli spiriti di un certo territorio per dedicarlo all’attività umana.

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